2011 - 2013

Dalla mostra: "Il Matto, la Morte e il Diavolo", Roma, Vittoriano, 2013

Testi

Alessandra Zorzi presenta la serie degli Arcani Maggiori che già di per sé costituiscono un ciclo organico secondo la sua tipica impostazione, visionaria e incantata, immersa in una costellazione di immagini archetipiche, oscure e insieme perfettamente comprensibili a chiunque. C’è in lei una strana e acutissima idea di razionale e irrazionale che si contemperano e si riflettono l’uno nell’altro attraverso un processo visivo che può essere letto come un vero e proprio fenomeno onirico trasferito in immagini completamente sganciate da riferimenti realistici eppure nel contempo cariche di precisione e di evocazione di percezioni assolutamente “vere” riassemblate però dall’ artista secondo un suo percorso mentale che scavalca l’immediatezza del quotidiano e dell’ovvio per attestarsi su un terreno impervio e fascinoso, alla prima di difficile comprensione e di arduo approccio, per rivelarsi poi nitidissimo, chiaro e coerente. Tutta la storia di questa artista, architetto proveniente da una famiglia di editori, fa capire come da subito si sia familiarizzata con la creazione di un rapporto vertiginoso e sognante tra testo letterario e immagine, in una sorta di “full immersion” nella favola che regola tutte le nostre visioni e tutte le nostre idee. La Zorzi si è inventata un intero universo di personaggi e di situazioni, miste di ironia e di magie, di arguzie e di cattiverie, di eleganze e di pungenti provocazioni. Attraverso tali immagini è risalita fino alle avventure grafiche degli anni sessanta del Novecento tra una Mitteleuropa post-kafkiana e una Inghilterra fecondata dalla magica apparizione del Sottomarino Giallo dei Beatles mirabilmente reinventato da un genio della grafica come fu il tedesco Hinz Edelmann, la Zorzi ha scavalcato felicemente e agevolmente i traumi del postmodernismo, in un cammino caratteristico del nostro tempo. Disgregato nelle apparenze immediate ma fiduciosamente ancorato alle pulsioni dell’Inconscio, è un percorso sempre più somigliante nella immaginazione di un’ artista come la Zorzi ai “buchi neri” del Cosmo che, mentre li si esplora, dilatano i confini delle nostre presunte certezze sprofondandoci nell’ Ignoto e spostando così costantemente in avanti i limiti del possibile. La Zorzi attrae l’osservatore in uno spazio strano, semplificato e sbilenco, fatto di un andirivieni di memorie e percezioni infantili, di precisione descrittiva e remota vaghezza. Gli Arcani contengono tutta la vita e tutte le illusioni di cui un essere umano si possa nutrire. Sono ingannevoli e insieme rivelatori di verità forse altrimenti inconoscibili. L’artista li legge proprio in questa chiave. Era logico e consequenziale che la Zorzi arrivasse al video di animazione (nonché ai suoi stralunati arazzi digitali) perché le sue immagini sono ansiose di prendere vita e di muoversi senza per questo diventare più realistiche. Al contrario l’artista mantiene un dominio assoluto sul suo universo di simboli e di immagini talvolta lambiccate e stravaganti, talatra aeree e sognanti. Tiene ben desta la nostra fantasia e non tradisce la sua formazione di architetto, perché sono vere e proprie “trame” narrative e strutturali quelle che l’artista viene tessendo nei suoi cicli e nella miriade di immagini da lei inventate nel corso del tempo. Oggi ci si presenta nella sua piena maturità e saggezza espressiva, manifestandosi quale personalità del tutto particolare nel sistema artistico del nostro tempo, elegante e un po’ appartata ma poi estremamente generosa e sollecita verso il suo pubblico che facilmente ne coglierà l’animo delicato e sensibile, trovandola in definitiva esplicita nel suo fare ma con una sorta di costante sedimento di mistero e di non detto che ne costituiscono forse il fascino peculiare. La mostra è essenziale, limitandosi a una trentina di opere tra olii, acquerelli, disegni, arazzi digitali e videoproiezioni, ma è tale la densità del discorso della nostra autrice che l’odierna manifestazione può e deve essere considerata, quindi, come ampia e esauriente per la piena comprensione di una personalità ragguardevole dell’arte degli ultimi anni nel nostro Paese. Il titolo della manifestazione echeggia quello di una celebre incisione di Dürer e non c’è dubbio che l’acribia e la passione autentica nel concepire l’opera d’arte come scavo e indagine dell’animo umano (che furono così tipiche del genio tedesco del Rinascimento) siano oggi ben rintracciabili nell’impegno estetico e morale della Zorzi, artista seriamente impegnata anche quando appare ironica e scherzosa, perchè animata da una autentica “strategia” comunicativa di cui la mostra presenta una esauriente e convincente immagine.

Certo che scendere dalla torre del faro, in un mare in tempesta mentre le saette illuminano il cielo, è di per sè inquietante. Ma farlo calandosi dalle merlate, quando la punta del faro e già precipitata al suolo, è un autentico incubo, che rappresenta assai bene la condizione della mente creativa in un mondo che ha perso ogni riferimento. E lei, sicuramente autoritratta, non se lo aspettava affatto, tant’è che rimane scalza come lo era nella camera che fino al drammatico momento la proteggeva. Il suo compagno non ce l’ha fatta e si è sfracellato al suolo. Alessandra Zorzi, cresciuta fra le lettere e l’immaginario del mondo architettonico, sente e risente fino in fondo il disagio dell’epoca che viviamo. Di disagio lei se ne intende, se ne è occupata come insegnante a Milano prima di passare alla facoltà di architettura di Venezia. Di inquietudine è pervasa la sua visione pittorica. La grinta non le manca, avendo avuto la curiosa passione per il volo, e la sensazione aerea è cifra costante della sua visione, con quel non so che di psicanalitico laddove il volo si declina con le vertigini. Eppure in quel caos dove si mescola Pablo Picasso con Sigmund Freud e dove il grido di Munch si fa fumetto, dove l’horror vacui fa da contrappunto alla solitudine dell’anima, dove la magia dialoga con la fiaba, in quel caos che è il caso della nostra epoca, lei sembra non disperarsi. E tutto va a formare un immaginario che è colto in flagranza di follie minime, ma è colto pure nel senso tradizionale della parola, perché vi dialogano le reminiscenze del padre di tutte le fantasmagorie, il Hieronymus Bosch dell’essere con la bocca a forma di trombetta, col padrino di tutte le diavolerie, il Francisco Goya del caprone diabolico, e con il diavolo vero e proprio con la seconda faccia nel culo come già appariva nella pittura germanica del XV secolo. E nel frattempo, in una città che è gotica e espressionista come nel primo Grosz, sta seduto il monarca scimmia che sembra ossessionare le notti etiliche di Francis Bacon. Che senso ha il dipingere oggi? Che senso ha sfrugugliare fra le pieghe della propria anima? Forse esattamente in questo rimane uno dei compiti di quell’arte che regolarmente viene definita defunta, la pittura. Il dipingere serve da cura e da rappresentazione dell’anima, del profondo dell’anima, laddove il passare in diagonale fra gli strati del cosciente, dell’incosciente e del subcosciente non può essere delegato ad altra forma espressiva, laddove la fotografia si ferma e la scrittura giunge con percorsi troppo lunghi, in quell’area misteriosa dove non basta allestire ma occorre inventare. E così, in quell’epoca attuale dove torna il ritornello del mala tempora currunt, si può, o forse addirittura si deve, se la coscienza si conforta della chiaroveggenza, operare con la manualità dei colori e delle narrazioni figurative allo scopo di testimoniare. Arte sciamanica, iniziatica e curativa per spiriti che tentano non invano di fuggire dalla conformità.

I Tarocchi sono un insieme di elementi particolarmente interessante perché originano nell’immaginario popolare, cogliendo simbolismi ‘alti’, come la giustizia e la temperanza “virtù cardinali”, elementi del potere e della religione-potere, (l’imperatore, il papa, ma anche l’imperatrice e addirittura la papessa, poiché la componente femminile fra il popolo non è sottovalutata), elementi della ‘strada’: il matto, che è un buffone un po’ straccione più da piazza che da corti, ‘il bagatto’, una via di mezzo fra il giocoliere e il ciarlatano, e poi le figure che incarnano timori umani: ‘la Morte’, ‘il Diavolo’, (più avvertito il secondo nel Medioevo, ma forse anche oggi, se lo identifichiamo con la perfidia), e quindi il Sole, la Luna, le Stelle: soggetti del mondo naturale, ma anche tradizionalmente esoterici, la ‘Ruota della fortuna’ che evoca quelle estreme speranze e desideri che si incarnano oggi nel gioco d’azzardo presente ovunque, ieri forse più modestamente nell’albero della cuccagna, e poi la Torre, la Forza, l’Appeso che fanno parte dell’eterna lotta fra la plebe e l’arroganza del potere… Nella lettura dei tarocchi come viene fatta oggi, tutti questi elementi, sia presi singolarmente che accostati ad altri, acquistano significati molto diversi, ma è tutt’altro discorso: quel che attrae me, come forse i tanti altri artisti che ne sono stati conquistati, è questo intrico di significati e simboli, non tanto arcaici, quanto direi, primordiali. E come tali li ho lasciati interrogarmi, permettendo al mio inconscio di emergere, come fosse un gioco di libere associazioni. In quanto artista sono stata subito sommersa da un flusso di immagini della storia della pittura che mi hanno quasi travolto: ho cercato un po’ di resistere, ma su qualcosa ho dovuto cedere…J così è stato impossibile pensare a un diavolo che non fosse presente nelle mille forme demoniache – da quelle più raccapriccianti a quelle più fantasiose e divertenti, come quella che ho scelto – in un’opera di Bosch, ad un altro che non fosse il Grande Capro di Goya e ad un terzo che non avesse la doppia faccia di quello di Pacher. E alla fine nel gruppo ha voluto infilarsi a tutti i costi anche un diavolo volante di Signorelli. Anche il Bagatto mi ha immediatamente evocato di nuovo Bosch, ossia il suo ‘Prestigiatore’, con il quartetto di osservatori: l’anziano credulone che si fa derubare, i due innamorati che approfittano della folla per strofinarsi: così li ho inseriti nel mio ‘Bagatto’, il quale invece deve la sua figura parzialmente a Brauner, da cui ho preso in prestito il grande cappello e il tavolino, mentre il sorriso tutto denti del ciarlatano l’ho rubato a qualcun altro, e per completare il plagio ho sottratto a Kiki Smith un paio di sfingi. Pagato il mio tributo alla storia dell’arte, ho cercato fra le ‘vere’ immagini dei tarocchi quale fosse più di altre evocativa e simbolica: la Torre, con il suo contesto romantico di bufera e di fulmini, gli spalti spezzati e diroccati, le figure esanimi mi è parsa una metafora dell’attuale momento storico, nel quale tuttavia gli uomini si lasciano talvolta andare alla disperazione anche suicidandosi, mentre le donne stringono i denti e cercano di tirare avanti a tutti i costi: e questo è quel che ho voluto rappresentare. Per la ‘Temperanza’ mi sono affidata ad un’interessante e quasi sconosciuta versione dei tarocchi: essa viene generalmente rappresentata da una fanciulla nell’atto di versare l’acqua da un recipiente in un altro contenente vino, col significato di smorzare ciò che è troppo eccitabile. Esprime quindi la necessità di dominare certi istinti che, attraverso questa virtù, vengono equilibrati. Una variante iconografica appare nel Tarocco di Alessandro Sforza. Una donna nuda siede sul dorso di un cervo, voltando le spalle alla testa dell’animale. Con la mano destra versa l’acqua da una coppa facendo cadere il liquido sul proprio sesso, che copre con la mano: una favola sugli antichi dei che viene utilizzata come allegoria morale, secondo la prassi tipica del tempo. Diana, durante la ricorrenza dell’Anados, momento in cui ella rinnovava la propria verginità bagnandosi nuda in una fonte sacra, venne guardata e desiderata con concupiscenza da Atteone. Furiosa la dea lo tramutò in cervo. Nel mito Diana è dea sempre vergine: suo costante rito è il gesto di attingere e riversare acqua, elemento di rigenerazione e purificazione. Diana compie il suo rito di purificazione non per smorzare eventuali ardori ma, versando acqua nella sua “acqua” (il suo sesso, come contenitore legato ai liquidi), ella mette in contatto le energie delle due acque, rinnovando la sua purezza virginale. Basandosi sul mito descritto la raffigurazione assume una valenza morale: come Diana ha prevalso su Atteone, simbolo della tentazione e l’ha reso mansueto, (il cervo era anche considerato animale simbolo di mitezza), così l’ uomo deve domare e sottomettere i propri istinti, mantenendosi casto attingendo all’acqua salvifica della Temperanza. E’ un’allegoria che nel nostro tempo si presta a rappresentare piuttosto la necessità di ritrovare quell’intesa con la natura che abbiamo vergognosamente (e pericolosamente) tradito: la giovane donna e il cervo sono nel mio quadro legati da una segreta alleanza, bagnata da una pioggia malinconica. Quel che dovremmo temperare, io credo, è lo sfruttamento selvaggio delle nostre risorse. Nella ‘Giustizia’ la piccola donna sull’altalena (che è una bilancia), viene minacciata dalla spada di una Giustizia che la Chiesa Cattolica, qui rappresentata da un tempio il cui crocifisso è composto di cannoni, spaventa al punto da farle perdere le sue prerogative. Altri elementi colgono la difficoltà dell’ottenere nei nostri sistemi imperfetti, sempre e davvero ‘giustizia’. Gli ‘Innamorati’ sono immersi in una città immaginaria, ma distanti, ognuno pensando all’altro, perché questi sono fra i momenti più teneri e belli dell’amore. Il ‘Matto’ del nostro tempo non è un buffone, ma un infelice che fugge dai propri fantasmi, mentre il lastrone di ghiaccio della realtà si frantuma sotto i suoi piedi, La ‘Morte’ visita gentilmente un sofferente all’ultimo stadio, dandogli infine quel sollievo che leggi troppo condizionate da un malinteso rispetto per la vita non gli concedono di anticipare. Nelle ‘Stelle’ ho voluto di nuovo rappresentare il nostro doloroso e ambiguo rapporto col mondo naturale. L’ ‘Imperatore’ è un essere ottuso e animalesco, pronto a decapitare chiunque non lo assecondi, come ogni tiranno. Nel ‘Carro’ infine, una donna si trascina dietro il suo futuro e il suo passato, gli amici che sono morti o moriranno, gli amori infelici, il dolore. E’ una donna, ma potrebbe anche essere un uomo.